venerdì 13 maggio 2016

"Il peso della valigia"



Nella musica trovo sempre un rifugio, un angolo tutto mio in un mondo che non riconosco e che, talvolta, fatico a comprendere.
Se la musica mi coccola, anche questo blog ha una sua funzione terapeutica!


Occhi azzurri, dita affusolate ed ingiallite dalla nicotina.
90 anni e la sua terra nel cuore.

Cerchietto in testa.
Mani nelle mani.
Sguardi incrociati.


Sento un pò di freddo e tanta umidità, non riesco a non chiedermi come si stia in quella casa la notte...

Toni più accesi, poi velocemente tutto si placa e così per circa un'oretta.
Cosa devo fare? Cosa posso fare?

Aiuto!


Un fil di voce ed un messaggio forte e chiaro.

Non è la risposta alle mie domanda, ma è una parola potente!
Sgretola ogni tipo di sicurezza e di certezza, arriva dritto come un pugno in pancia e ti fa vacillare.
Mi sono sentita impotente per qualche istante, come se avessero innestato lo slow-motion e tutto avesse iniziato ad assumere una forma diversa.
Sento gli occhi bagnarsi ed è lì, forse, che ho ripreso contatto con me stessa ed il contesto.
Grazie ad una persona ho avuto modo di mettere a fuoco quello che stava accadendo: "pensa se avesse chiesto aiuto ad una persona che faceva finta di nulla? Invece ha incontrato te. Il caso non esiste, io ne sono convinta!"

Questo è bastato per farmi sentire cosciente e presente.
E' vero, oggi ed in questi giorni, abbiamo corso, abbiamo pregato, abbiamo spremuto meningi ed ipotizzato almeno una decina di "soluzioni", ma è altrettanto vero che lo sguardo su quel divano e quella mano che si avvicina alla bocca e mi saluta con un "bacio volante" hanno un profondo significato.

"Se vuoi fidati di me!
...dimmi la tua storia...
...dimmi che si ride almeno un pò..."



mercoledì 17 febbraio 2016

"Ciao Scuola sono il Servizio Sociale, mi presento"

"Si è professionisti quando si agisce in scienza e coscienza"

Ho detto questa frase durante un incontro con un gruppo di professori di una scuola secondaria di primo grado, da quel giorno penso e ri-penso a quella frase ed a quelle due ore trascorse insieme a loro. Quel lasso di tempo mi ha davvero arricchito, ma sul momento i sentimenti e le emozioni che provavo erano contrastanti.

Sono fermamente convinta che la Scuola ed il Servizio Sociale debbano lavorare in integrazione, in sinergia e collaborare, ma tutto ciò non è possibile se prima non c'è nè una reciproca conoscenza dei rispettivi ruoli, nè la convinzione che il lavoro in rete possa essere una valida strategia operativa ed un modus operandi.

All' incontro, che come Servizio abbiamo organizzato, erano presenti almeno una decina di professori che, a prima vista, sembravano scarsamente interessati e da alcune domande fatte anche "prevenuti" nei confronti del Servizio Sociale. 
Noi operatori abbiamo proseguito cercando di non farci demoralizzare, ma accogliendo le loro perplessità e cercando di sottolineare l'importanza della collaborazione.
La domanda che ha scatenato poi un dibattito interessante e, per me, arricchente è stata: "ma fattivamente cosa fa il Servizio Sociale?"

Farsi conoscere e far conoscere, avvicinarsi e non restare "nell'ombra" e nel limbo del "loro devono saperlo" o ancora "sicuramente loro lo sanno". 

In un convegno di recente la Prof.ssa E. Allegri ha detto: "apriamo la finestra" e la trovo una bellissima metafora! Apriamo la finestra facciamo entrare e proviamo ad uscire ed a far uscire.

Noi Assistenti Sociali dobbiamo far entrare chi non conosce il Servizio Sociale e mostrarlo, farci comprendere e rendere il nostro operato il più chiaro e limpido possibile, spiegare le nostre azioni ed i nostri pensieri.
Facciamo entrare i dubbi, ma ragioniamo insieme a chi li porta.

Usciamo e andiamo verso quei "territori" dove è fondamentale esplorare, avviciniamoci con spirito di reciproco scambio.

Al termine dell'incontro si è avvicinata un'insegnate che mi ha voluto raccontare una sua esperienza in una classe di 20 ragazzi: "non sapevo come fare, io insegno scienze ed il problema che stava vivendo quel ragazzo di emarginazione e di prese in giro continue in qualche modo lo dovevo affrontare". Ha utilizzato la scienza per passare ai ragazzi un messaggio fondamentale e mi ha chiesto, inoltre, se una situazione come quella che mi aveva esplicitato poteva essere un'occasione per chiedere una consulenza al Servizio Sociale ed avere un confronto o strategie comuni.

Un passo avanti reciproco...verso l'altro, concluso con un "grazie".

mercoledì 20 gennaio 2016

Uno spaccato di vita umana e professionale

Credo che se questo blog (tanto amato, quanto odiato) ha uno scopo deve essere quello di diffondere gioie e dolori, difficoltà e momenti più piacevoli ed aprire le porte su una professione, quella che ho sempre definito la più bella, la mia. L'Assistente Sociale.

Credo tanto nel mio lavoro, ci credo così tanto che quando mi chiedo se sarei in grado di fare altro nella vita mi rispondo di no (peccando forse di presunzione).

In questo post voglio raccontare, come sempre, uno spaccato di vita umana e professionale che da qualche tempo mi accompagna, ma quando riesco a sedermi e scrivere significa che è pronto per essere condiviso.

In un giorno qualsiasi di un mese qualsiasi mi arriva, fra una telefonata e l'altra, la richiesta di un'indagine sociale su un minore (per dovere non entro nello specifico).
La stampo e la leggo più di una volta. 

"Prego inviare indagine entro il 30 novembre".

La rileggo, non mi faccio congetture od ipotesi, ma prendo un foglio e scrivo quello che da lì ai giorni successivi dovrò fare.
Scrivere le convocazioni al Servizio ai genitori, organizzarmi quelle giornate affinchè lo spazio da dedicare ai colloqui sia adeguato, rileggere la richiesta del Procuratore e, sopratutto, essere pronta. 

Pronta...che poi...chissà mai cosa vorrà dire.

Le storie di vita delle famiglie, i loro cicli di vita, i racconti ed i vissuti ti colgono sempre di sorpresa, impreparata. Non c'è un copione e non c'è una formula magica. 

C'è la professionalità, ci sono i principi etici, ci sono gli spazi ed i silenzi, c'è l'accoglienza ed il congedo.

Il giorno della visita domiciliare concordata mi resterà impresso a vita.

Parcheggio l'auto un poco distante perchè qualche passo a piedi per il paese fa sempre bene, mi spavento per quel solito cane nero che abbaia quando si passa davanti al suo cancello ed arrivo di fronte alla porta di casa.
Suono il campanello e mi apre la mamma del piccolo con un grande sorriso.

Chiedendo "permesso" entro e saluto tutti.
C'è un buon odore in casa, lo riconosco: torta alle mele!

Mi siedo al tavolo, mi presento sia al bambino che al signore accanto a lui, la mamma mi segue poi a ruota nel discorso iniziato (molto leggero e di elogio al bambino per i voti a scuola), però la mia attenzione viene catturata dal bambino. Il suo viso sta diventando piano piano sempre più rosso, cerca di proteggersi con le mani ed all'improvviso scoppia a piangere. 

A questo non ero pronta, forse non lo si è mai! Il pianto di un bambino.
Come lo sentiamo? Come lo gestiamo? Come lo viviamo?

La mamma ed io abbiamo interrotto il discorso e mentre le mi guarda io, forse a ragione, mi sento colpevole di quel pianto. 
Sono un'estranea in casa sua! 
Sono una sconosciuta seduta al suo tavolo!

Cerco di alleggerire la "tensione" accumulata e le mani sul viso si aprono. Io allargo un sorriso e le mani si aprono sul viso, sposto indietro la sedia e porto in avanti il busto e rilancio con una piccola battuta che ha, magicamente, interrotto il pianto.

Ancora rosso in viso mi dice che, prima del mio arrivo, ha preparato con la mamma un torta alle mele per me. Deliziata e riconoscente gli ho chiesto di mostrarla e di poterla assaggiare, ma insieme a lui.

Quanto era buona quella torta, ma quanto amaro il racconto della sua estate appena conclusa.

Non esistono manuali che insegnano a gestire il pianto, non esistono dispense che ci illustrano come entrare nella vita degli altri senza essere "prepotentemente" estranei.

Quello che sicuramente esiste e porto con me sono le emozioni, la passione e la conoscenza del mio ruolo. 
Quelle nessuno le può minare. 

Chiara