mercoledì 22 maggio 2013

Pensando al lavoro sociale...

Devo ringraziare questo blog perchè nel tempo mi ha permesso di conoscere e confrontarmi con diverse persone. Alcune hanno preferito commentare gli articoli direttamente qui, altre hanno deciso di scrivermi un messaggio od un mail. Il riscontro che ho avuto è stato spesso positivo, questo ha fatto in modo che io non lasciassi questo spazio abbandonato a se stesso, oppure che diventasse un semplice raccoglitore di pensieri, ma che diventasse un luogo dove, io e chi lo desidera, possa riflettere e lasciare il proprio contributo.

Proprio questa sera una ragazza mi scrive parole splendide per questo blog ed ha chiuso il messaggio con queste parole: «adoro questa professione!».
E' prossima all'Esame di Stato quindi, di rito, le rassicurazioni ed i piccoli consigli, ma chiudo messaggio riallacciandomi alla bellezza della nostra professione.
«Sai quante volte l'ho detto e quanti mi hanno detto aspetta e vedrai, oppure abbandona la professione fino a che sei in tempo?
...io ti voglio dire invece, credici sempre. Sempre. Il sociale non è quello che si legge sui libri, è un mondo molto crudo, dove spesso sono gli operatori ad aver bisogno di "aiuto", dove le risorse mancano, dove i fallimenti sono dietro l'angolo, ma devi crederci col cuore e con la passione di chi ha un obiettivo e lo vuole raggiungere quando lo ha raggiunto, non è certa di essere arrivata ma vuole ancora crescere e camminare.
Non è facile...ma devi crederci».

E' inutile raccontarsi la favoletta "sul lavoro sociale", lavorare sul campo, ogni giorno, permette di capire (ed ancora non è abbastanza), di quante difficoltà ci siano (economiche, in termini di energia psichica, di creazione di rapporto con gli utenti e la gestione di questi rapporti) , di quanto sia dura sapere gestire un gruppo di lavoro e quanto, quel gruppo di lavoro, non sempre ha voglia di seguire una linea comune (alla fine, senza ipocrisie, tante teste, tanti caratteri e tante idee, sommate alla voglia di primeggiare o la voglia di fare più del dovuto per dimostrare di essere stacanovisti per chissà quali paure sono dinamiche che bisogna essere in grado di saper coordinare), ed ancora quanto sia importante comprendere qual è l'organizzazione che abbiamo alle spalle, perchè è il mare nel quale si nuota ed è necessario sia conoscere le acque, sia saper nuotare.
E' bene sapere come stanno le cose, realmente, per far in modo che chi si avvicina a questo lavoro abbia seriamente la voglia di lavorare con passione e sentimento, credendo in quello che fa e nei valori che muovono la nostra professione (e questo a qualsiasi livello della scala gerarchica si lavori).

Forse, all'inizio del percorso di studi, la decisione di essere un professionista del sociale e dell'aiuto non era ben chiaro, ma col tempo lo deve essere, perchè domani - in qualsiasi ambito ci si trovi a lavorare - si avrà a che fare con persone che si aspettano qualcosa e quel qualcosa, non sempre saremo in grado o nelle possibilità di poterlo dare, ma se alla base c'è una relazione che ha alla base fiducia, rispetto, dignità e (da parte nostra anche) passione e convinzione, saremo riusciti a contribuire allo sviluppo di quella persona.

Chiara

2 commenti:

  1. Il giorno che ho discusso la mia tesi sulla relazionalità della nostra professione, ad un certo punto il mio relatore mi ha chiesto: "Si immagini di essere un'assistente sociale della Grecia di oggi o dell'Argentina di qualche anno fa, unica ancora assunta nel servizio perchè le colleghe sono già state tutte lasciate a casa. Le si presenta una famiglia, madre padre e bambino piccolo, sfrattati e disoccupati che non hanno alcuna rete di riferimento perchè immigrati. Il servizio non eroga più alcun contributo e tutti i supporti attivabili non sono più accessibili per mancanza di risorse. Cosa fa?" A parte quel minuto di silenzio incolmabile, il mio primo pensiero, d'istinto è stato "Nulla, non posso fare nulla. Posso solo condividere col loro il dolore per cercare, almeno temporaneamente di alleggerirlo un po'". Ma ahimè, così non ho voluto rispondere, almeno la prima volta e mi sono arrampicata su quella "grammatica" di cui ero tanto esperta e che ci ha insegnato che si deve sempre cercare e trovare una soluzione. Il professore mi ha sorriso e mi ha suggerito di rispondere col cuore. Ho dato la mia risposta d'istinto, sottolineando tuttavia che forse era più la risposta di una persona umana che di un professionista. Il professore si è congratulato e mi ha ricordato che non siamo onnipotenti e che prima di tutto siamo persone e, professionisti o no, a volte il solo investimento nella relazione reciproca è di per sè un progetto d'intervento.
    Ho richiuso la mia tesi con quell'ultima lezione universitaria (o di vita) e mi sono laureata. E ho deciso, più di quanto non avessi già da tempo fatto, che avrei investito sempre nelle relazioni. Per questo dobbiamo crederci, sempre e comunque.

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  2. Una situazione simile è capitata a me, durante l'esame di stato, però.
    Gli stessi tuoi pensieri al bivio o testa o cuore. Devo ammettere che ha prevalso il cuore, la testa era intrappolata nel nulla (come spesso accade in determinate situazione), mentre il cuore ha uno slancio, quello che ci porta ad avere, non di certo la magia che esce dal cappello, ma sicuramente ci aiuta ad uscire da una impasse che nuove gravemente.
    Quindi sì, siamo persone anche noi, avevo scritto un articolo in merito all'essere persone, di certo non automi e neanche onnipotenti.

    Grazie per essere passata di qua =)

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