mercoledì 30 gennaio 2013

Passare dall'altra parte

Solitamente siamo così presi dai nostri impegni, dalle nostre faccende, commissioni e dal nostro lavoro che perdiamo dei particolari. Ci sfuggono tasselli salienti, e si sa il tempo è una di quelle risorse non rinnovabili, una volta passato, è andato e non è possibile riavvolgere il nastro e tornare indietro.
Sebbene questo venga anche insegnato sui banchi di scuola, è quando ce ne rendiamo conto direttamente che questo ci fa pensare.

Ho notato, nella mia esperienza, che non sempre rifletto su quanto possa essere duro essere "dall'altra parte", essere l'utente, il paziente, l'ospite.
Ho dovuto sottopormi ad un'operazione chirurgica di recente e sì, in quell'occasione, mi sono trovata "dall'altra parte".
Ero io la paziente, ero io che non "giocavo in casa", ero io in un ambiente a me non conosciuto, ero io circondata da persone che non avevo mai visto, ero io in un letto non mio con pochissimi confort se non un libro e la musica che mi ero portata da casa.
Ero io a dover chiedere aiuto suonando un campanello e testare, sulla mia pelle, quanto sia difficile sopportare un'ora e mezza di attesa dopo che mi era stato detto "arriviamo subito" e sentire il silenzio nel corridoio.
Ero io a dover chiedere di essere accompagnata in bagno perchè non potevo camminare senza che qualcuno mi sorreggesse, ed ero io in bagno osservata da capo a piedi da una perfetta estranea.
Ero io a dover sottostare ad orari non miei per mangiare, per i prelievi, le punture e le varie misurazioni, anche alle 6 e mezzo del mattino quando, la mia vicina di letto dormiva e con poco garbo e molto fracasso è stata svegliata. Io per il dolore non ho chiuso occhio ed ho "sentito" la vita di notte di un reparto ospedaliero.
Sono arrivata a farmi scrupoli se suonare o meno quel campanello perchè uno sguardo od una parola mal data possono farti sentire un peso ed una parte di lavoro in più da svolgere.

Ero io la paziente e l'utente e non vice versa come accade di solito, e come ho sempre pensato, è l'esperienza che insegna più ogni libro di teoria, di qualsiasi precisissimo manuale.
Di certo so cosa sta dietro ad un reparto ospedaliero, una comunità, ad un servizio; so quanto lavoro, quante volte può suonare il telefono, so quante cose sono da pensare e portare a termine prima che arrivi l'ora "X", ma so anche, ed ora ancor di più, quanto sia importante porre al centro del nostro lavoro l'utenza, la persona.

Sì, la persona. Ha un nome ed un cognome spesso dimenticati. Io sono stata presa in giro per un mio piccolo vizio di nome "Charlie", che è la mia coperta di Linus, da persone che dovrebbero pensare solo al tuo benessere e non a cosa ti è sdraiato a fianco, bianco, peloso ed inanimato.
Una persona che soffre e non deve attendere un'ora e mezza prima che l'antidolorifico che ha richiesto e che è scritto in cartella le venga somministrato.

Sono tutti esempi, ritagliati sulla mia esperienza, ma ogni giorno quella persona può essere differente, ma l'attenzione ed il rispetto che merita, no, devono essere sempre gli stessi, proprio perchè dall'altra parte, prima o poi, ci potremo essere noi.

Chiara

2 commenti:

  1. Ciao Chiara, spulcio il tuo blog e mi ritrovo tanto nelle tue parole; sono qui perché mi hai scritto -newsletter Asit- un po' punzecchinado il mio orgoglio e il mio Essere-assistente-sociale-piena-d'entusiasmo che passa un momento di bassa e un po' incuriosendomi con il tuo entusiasmo. Io: 30 anni ed un padre con un tumore in fase terminale. Sono dalla parte dell'utente, in pieno. Sono spesso per uffici della sanità. Sono spesso nelle mani di persone che parlano in modo troppo difficile, complicato, pieno di burocrazia e povero di umanità. e sono delusa e arrabbiata, tante volte, anche se non sempre. Sono assistente sociale, come te, e mi chiedo come possano funzionare i sistemi che dominano la nostra vita: perché ci sono sempre più professionisti che accompagnano le persone? Il genere umano, l'essere umano ha bisogno di complicarsi tanto la vita per riuscire ad ammettersi di non esser sufficiente-a-se-stesso? un tempo le persone si sostenevano anche nelle piccole cose perché non c'era il "benessere" che ci domina oggi; oggi abbiamo timore a chiedere aiuto al vicino, al fruttivendolo, al commesso, perché questo ci mette in una posizione di inferiorità. Chiediamo aiuto solo quando siamo alla frutta (e non nel senso del fruttivendolo), e sappiamo di essere legittimati a farlo perché il servizio è a pagamento (o pubblico, ma pur sempre abbiamo di fronte una persona pagata per fare ciò che fa, al nostro servizio). Ma non è un po' paradossale? -Abbi pazienza, scrivo a braccio, senza rileggere, dopo una giornata terribile. Sfrutto il tuo spazio per uno sfogo estemporaneo, spontaneo e poco pensato.-

    In ogni caso se son qui, mi ripeto, è perché mi piace leggere il tuo entusiasmo. Credo ripasserò di qua spesso. Ciao!

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  2. Ciao!
    Innazitutto grazie per il commento, sono così pochi su questo blog, che a volte mi chiedo se sia utile a qualcuno oppure solo a me, ed alla mia "mania" dello scrivere.
    Sono felice tu sia passata di qua, sono felice tu voglia ripassare e soprattutto per aver condiviso un tuo pensiero.
    Alla fine il blog serve a questo, quando è frequentato, quando è a senso unico, direi di no!
    Il motto di questo mio blog è riscopriamo i valori, ne ho scritti diversi di post con questo pensiero, e credo sia l'unica cosa giusta da fare per riprendersi questo benedetto mondo.
    Un valore quello dell'aiuto insieme a quello della solidarietà renderebbero, sicuramente, le piccole cose della vita meno pesanti, più gestibili, ed i professionisti potrebbero dedicarsi davvero al sistema di welfare che ancora ci ostiniamo a voler credere che ci sia.
    Condivido che sia paradossale, ma è ancor più paradossale vedere che ci sono persone che non hanno il coraggio, la voglia e la fiducia per chiedere aiuto.
    E' da deboli, non racconto i fatti miei, ce l'ho sempre fatta da solo...clichè che oramai coi tempi che corrono dovrebbero essere superati.
    Un esempio che non centra con la salute.
    Io ho preso un mio paio di scarpe e l'ho regalato ad una signora del dormitorio della mia città. Non avevo soldi per prenderle un paio di scarpe nuovo, io quelle scarpe le mettevo poco perchè preferisco usare un altro paio e così le ho regalate direttamente a lei. Insomma, nessuno mi ha obbligata men che meno lei, che non se lo aspettava.
    Tornare indietro, perchè alla fine qui siamo tutti presi dal prendere tutto nuovo, anzichè rispolverare quello che ancora può andare bene, condividere le uova e le cipolle col vicino...e soprattutto essere umani se siamo medici o professionisti dell'aiuto.
    Spero di rileggerti presto e grazie ancora.
    Ogni spazio è libero per uno sfogo o per un pensiero o critica.
    Un abbraccio a te.
    Chiara

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